La nostra nuova meta è Meteora. Parlo al plurale perché in questo viaggio tra Albania e Grecia siamo un gruppo di sei amici. Ci siamo lasciati alle spalle Saranda bellissima località della costa albanese, di cui dirò ancora due parole: la città ha una storia molto antica. Dominata dai Greci e dagli Arabi prima, protettorato italiano poi, che ne ha cambiato il nome in Porto Edda, in onore della figlia del Duce. Dopo i recenti stravolgimenti politici e dimenticata la dittatura di Enver Hoxha, Saranda si presenta come una meta turistica a tutti gli effetti. Si affaccia su una piccola baia aperta verso meridione ed è circondata da colline, di fronte alla città si estende l’isola greca di Corfù e una stretta catena collinare la separa dalle pianure situate ad oriente.
Saranda
Finalmente dopo una sosta a Jannina arriviamo, dopo aver percorso una sconfinata pianura, in Tessaglia ed ecco ci appare all’orizzonte, improvviso, un insieme di rocce nate 60 milioni di anni, dove sorge un complesso monastico tra i più famosi di tutta la Grecia, patrimonio dell’umanità grazie all’Unesco.
Meteora
Un posto unico al mondo, inconsueto, con una considerevole concentrazione di edifici monastici temerariamente costruiti su enormi rocce in arenaria sopravvissuti nei secoli.
La piccola città di Kastraki è la base perfetta per accedere a Meteora che in greco, significa “in mezzo all’aria”. Effettivamente a prima vista si ha la percezione che queste costruzioni siano sospese nel vuoto, tra il cielo e la terra. In realtà gli edifici sono stati plasmati seguendo la singolarità del terreno e le protuberanze della pietra. Una meraviglia architettonica ed ingegneristica che crea una perfetta sintonia tra gli edifici religiosi e le formazioni rocciose che li ospitano, donando loro una grandiosità unica nel suo genere. Le meteore sono ventiquattro, ma solo sei sono abitate ancora da monaci, di cui due sono conventi di clausura.
Le aspettative di uno spettacolo impareggiabile sono superate dalla realtà che è apparsa davanti a noi. Un panorama di formazioni rocciose altissime e lassù in cima appollaiati come delle aquile, i monasteri. Massi e pinnacoli enormi, alti oltre 400/500 metri, in una conformazione unica, sorte dalle profondità di un lago e apparse dopo un gigantesco cataclisma geologico. Rocce enormi come se la mano di Dio le avesse modellate, fatte a bella posta, per gli asceti arditi che cercarono nella loro serenità ultraterrena un luogo spiritualmente idoneo alla completa devozione.
Dichiarava Robert Curzon viaggiatore inglese, nel 1849: “Nulla è più strano e meraviglioso di questa regione fantastica, diversa da qualsiasi cosa io abbia mai visto. In . . . tutte le regioni montuose in cui sono stato, non c’è nulla che si possa paragonare a questi straordinari pilastri” e ancora “Sembra che la cima di un insieme di colline rocciose sia stata mozzata da qualche terremoto o spazzata via dal Diluvio, lasciando solo una serie di . . . rocce alte, rade, levigate e a guglia”.
Non sono solo gli occhi ad essere ricompensati dopo la ripida e a volte ardua salita. I monasteri non sono esclusivamente un punto di osservazione o un punto di arrivo. Sono luoghi di esplorazione spirituale, ambienti dove si agita una fortissima religiosità, una trascendenza secolare fatta di pratiche granitiche, ossequio e devozione, di arcaiche tradizioni, venerazione e culto. E tanto silenzio non sempre rispettato dai molti visitatori.
Le emozioni che provo durante il viaggio le devo metabolizzare, devo riflettere sulle sensazioni, gli umori e i sentimenti esplorati. Dopo un cammino in questi luoghi di alta spiritualità ecco cosa resta: parole dolci e pacate; umori teneri e composti; sensazioni morbide e quiete.
Quale migliore congedo se non quello di un maestro assoluto, Giacomo Leopardi, uno che davvero dell’uomo e della vita aveva praticamente capito tutto, e che scelse di cantare l’emozione intellettuale (ossia la mente che va talmente in profondità da spaventarsi dei suoi stessi pensieri), un perfetto equilibrio tra emozioni, sensazioni e riflessioni.
L’Infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Ancora un aiuto alla riflessione attraverso le parole di due grandi.
Guardiamo alle religioni come alle mille foglie di un albero, ci sembrano tutte differenti, ma tutte riconducono a uno stesso tronco.
(Mahatma Gandhi)
L’anima è una specie di barca a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la sua spinta, senza la sua grazia, noi non andiamo avanti.
(Papa Francesco)

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