Prospero e Miranda
The Tempest
Act I Scene II
“In few, they hurried us aboard a bark,
Bore us some leagues to sea; where they prepared
A rotten carcass of a butt, not rigg’d,
Nor tackle, sail, nor mast; the very rats
Instinctively, have quit it: there they hoist us,
To cry to th’ sea that roar’d to us; to sigh
To th’ winds, whose pity, sighing back again,
Did us but loving wrong
How came we ashore?
By Providence divine.
Sit still, and hear the last of our sea-sorrow”
William Shakespeare
Racconti e storie di immigrati e migranti: uomini, donne e bambini, costretti all’immigrazione per sfuggire a dittature, colpi di stato e alle più disparate condizioni d’emergenza. Dalle storie di immigrati e migranti emergono toccanti resoconti di viaggi della speranza. Viaggi spesso in balia di scafisti e aguzzini, su gommoni e imbarcazioni di fortuna, lottando contro il mare per sottrarsi al destino di schiavi, prima, o di naufraghi clandestini, una volta intrapresa la navigazione. Nei racconti di migranti e immigrati, volti, speranze, emozioni e esperienze di chi, dalle coste nordafricane, dal medio oriente, da paesi come Siria, Sudan, Libano, Eritrea, Nigeria e da molte altre zone del pianeta, non ha avuto altra scelta che abbandonare la propria realtà, emigrare dimenticando i confini politici stabiliti dai governi confidando in solidarietà e accoglienza senza frontiere, aldilà di gruppi sociali, barriere linguistiche, bandiere nazionali e di ogni altra labile differenza. Confidando, in buona sostanza, nell’uomo.
Immezcla
Il mare di notte
“Meglio morire in mare che stare in Libia. In mare si muore una volta sola, se stai in Libia è come se morissi tutti i giorni”. Bakary ha poco più di 16 anni, è un minore ospitato in una struttura di accoglienza in Calabria. Viene dalla Guinea Bissau e ha raggiunto la Libia attraverso il Gambia, quattro settimane di viaggio nel deserto. “I letti dove dormivamo in Libia erano pieni di insetti, avevamo pagato per il viaggio, ma nell’attesa dovevamo lavorare per i padroni del posto. Gratis, come schiavi. Chi si rifiutava veniva picchiato. Ho visto gente morire sepolta a pochi metri da dove dormivamo”
“Mamma mia dammi cento lire” canzone della tradizione popolare
Italiani
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”
Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912
“

What do you think?