Apri la porta alle più belle Pagine d’Amore

Elena di Elena0 Comments15 min read1.3K Visualizzazioni

RICORDAMI

Tu ricordami quando sarò andata

lontano, nella terra del silenzio,

né più per mano mi potrai tenere,

né io potrò il saluto ricambiare.

 

Ricordami anche quando non potrai

giorno per giorno dirmi dei tuoi sogni:

ricorda e basta, perché a me, lo sai,

non giungerà parola né preghiera.

 

Pure se un po’ dovessi tu scordarmi

e dopo ricordare, non dolerti:

perché se tenebra e rovina lasciano

 tracce dei miei pensieri del passato,

meglio per te sorridere e scordare

che dal ricordo essere tormentato.

 Christina Rossetti

tratto da Jane Eyre di Charlotte Bronte

“ La fiducia, che aveva creduto bene di riporre in me, era un omaggio alla mia discrezione.  La consideravo e accettavo come tale. Da qualche settimana in qua il suo umore a mio riguardo era più eguale. Era meno distante: non aveva accessi di agghiacciante altezzosità. Quando m’incontrava inaspettatamente, pareva che ne avesse piacere, e aveva sempre per me un sorriso o una parole; quando con un invito formale mi chiamava alla sua presenza, mi accoglieva con cordialità da farmi capire che veramente possedevo il dono di divertirlo, e che queste conversazioni serali costituivano per lui un piacere come per me un profitto. Io, veramente, parlavo relativamente poco, ma stavo ad ascoltarlo con delizia. Aveva un temperamento  comunicativo. Prendeva gusto ad aprire a una mente ignara del mondo scene e costumi di esso; da parte mia provavo un vivo godimento ad accogliere le idee nuove che mi comunicava, nel figurarmi i quadri nuovi che descriveva, e nel seguirlo con la fantasia nelle regioni nuove che mi apriva, senza mai turbarmi con alcuna allusione dannosa.

La sua disinvoltura mi liberava da ogni penosa soggezione; la franchezza amichevole, corretta quanto cordiale, con la quale mi trattava, mi attiravano a lui. Sentivo in certi momenti come fosse più un parente che un padrone, benché a volte fosse ancora autoritario. Ma non ci davo peso, perché sapevo che era il suo modo di fare. L’interesse nuovo che si aggiunse alla mia vita mi rese tanto contenta, che cessai di sospirare una famiglia. Il mio destino pareva allargarsi; i vuoti della mia esistenza colmarsi; la mia salute fisica migliorare; ingrassai e irrobustii.

E il signor Rochester era sempre brutto ai miei cocchi? No; la gratitudine unita ad altri delicati sentimenti rendeva il suo viso l’oggetto che più amavo vedere; la sua presenza, in una stanza, illuminava più del fuoco più risplendente. Pure non avevo dimenticato i suoi difetti, e non avrei potuto, perché li mostrava spesso. Era orgoglioso, sarcastico e duro oltre ogni descrizione. Intimamente capivo che la sua gentilezza verso di me era controbilanciata da una ingiusta severità verso molti altri. Era anche di umore mutevole e inesplicabile. Più di una volta, che mi aveva mandata a chiamare per fargli la lettura, lo avevo trovato seduto tutto solo in biblioteca, con la testa appoggiata sulle braccia incrociate, e, sollevato il viso, gli avevo scorto un cipiglio triste, quasi ispido. Ma io attribuivo il suo mutar di umore, la sua durezza e le sue passate colpe a qualche crudele colpo del destino. Secondo me, era un uomo di inclinazioni migliori, di princìpi più nobili, di gusti più elevati di quel che le circostanze, l’educazione e la sorte avevano formato. Pensavo che ci fosse in lui dell’ottima stoffa, benché per il momento fosse lì inutilizzata. Devo confessare che mi addoloravo del suo dolore, qualunque fosse, e avrei voluto attenuarlo.”

Cesare Pavese

Anche tu sei l’amore.

Anche tu sei l’amore.

sei di sangue e di terra

come gli altri. Cammini

come chi non si stacca

dalla porta di casa.

Guardi come chi attende

e non vede. Sei terra

che dolora e che tace.

Hai sussulti  e stanchezze,

hai parole – cammini

in attesa. L’amore

è il tuo sangue – non altro.

 Elizabeth Barrett Browning

Se devi amarmi, per null’altro sia. 

Se devi amarmi, per null’altro sia

se non che per amore. Mai non dire:

“T’amo per il sorriso, per lo sguardo,

la gentilezza del parlare, il modo

di pensare così conforme al mio,

che mi rese sereno un giorno”. 

Queste son tutte cose

che possono mutare, Amato,

in sé o per te, un amore

così sorto potrebbe poi morire. 

E non amarmi per pietà di

lacrime

che bagnino il mio volto.

Può scordare il pianto chi ebbe

a lungo il tuo conforto, e

perderti.

Soltanto per amore amami

e per  sempre, per l’eternità.

Drop it like Bach

da  Il Paziente Inglese di  Michael Ondaatje

…  Poi lei cominciò a leggere dalle Storie  il racconto di Candaule e della sua regina. Io salto sempre oltre quella storia, che è all’inizio del libro e ha poco a che vedere con i luoghi e il periodo che mi interessano. Ma è certamente una storia famosa, ed era anche l’argomento di cui lei aveva deciso di parlare.

Questo Candaule era appassionatamente innamorato di sua moglie, e per questo motivo riteneva che ella fosse di gran lunga la più bella delle donne. A Gige, figlio di Daschilo (e di tutti i lancieri il suo preferito), soleva descrivere la bellezza di sua moglie, elogiandola oltre misura.

    “Stai ascoltando, Geoffrey?”   “Sì, mia cara.”

 Ed egli disse a Gige: “Gige, io penso che tu non mi creda quando ti parlo della bellezza di mia moglie, perché si dà il caso che le orecchie degli uomini siano meno pronte a credere dei loro occhi. Trova quindi qualche espediente per poterla ammirare nuda.”

    Si potrebbero dire molte cose, sapendo che poi sarei diventato il suo amante, così come Gige sarebbe divenuto l’amante della regina e l’assassino di Candaule. Spesso io aprivo il libro di Erodoto per trovarvi indicazioni geografiche, ma Katharine l’aveva aperto come una finestra sulla sua vita. La sua voce era chiara mentre leggeva. I suoi occhi vedevano soltanto la pagina in cui era scritta la storia, era come se la lettura la facesse affondare nelle sabbie mobili.

“Credo invero che di tutte le donne sia la più bella, e ti supplico di non chiedermi ciò che per me non è lecito fare.” Ma il re così gli rispose: “Abbi coraggio, Gige, e non aver paura, né di me, che dico queste parole per metterti alla prova, né di mia moglie, perché nessun male può venirti da lei. Farò infatti in modo che lei non si accorga d’esser stata vista da te.”

   Questa è la storia di come mi sono innamorato di una donna che mi leggeva un particolare racconto di Erodoto. Udivo le parole che lei pronunciava al di là del fuoco, senza mai alzare lo sguardo, nemmeno quando provocava suo marito. Forse stava leggendo soltanto per lui, forse la sua scelta non aveva ulteriori motivi che loro stessi. Era soltanto una storia che l’aveva stuzzicata per l’analogia con la sua situazione. Ma un sentiero si rivelava improvvisamente nella realtà. E lei non immaginava nemmeno di aver mosso il primo passo errante. Ne sono sicuro.

“Ti introdurrò nella stanza in cui dormiamo, dietro alla porta aperta, e quando sarò entrato, anche mia moglie verrà a giacere. Orbene, c’è un sedile accanto all’ingresso della stanza e lì lei poserà gli indumenti che svestirà a uno a uno, così tu potrai guardarla a tuo piacimento.”

Ma la regina scopre Gige mentre esce dalla camera da letto. Capisce allora che cosa ha fatto suo marito, e seppur indignata, non alza grida di protesta, si mantiene calma …

È una storia strana.  Non è vero? La vanità di un uomo giunge al punto da fargli desiderare di essere invidiato. Oppure di essere creduto, qualora pensi di non esserlo …

Il giorno dopo la regina convoca Gige e gli offre due scelte.

“Ora sono due le strade che ti si aprono, e ti lascerò la scelta di quale delle due prendere. Puoi uccidere Candaule e impossessarti di me e del regno di Lidia, oppure essere ucciso qui sul posto, così che in futuro, ubbidendo a Candaule in ogni cosa, tu non possa vedere ciò che non devi. Deve morire colui che ha ideato questo piano, oppure tu che mi hai vista nuda.”

   E così il re viene ucciso. Una nuova Epoca ha inizio.  Su Gige sono stati scritti poemi in trimetri giambici. È stato lui il primo dei barbari a dedicare sacrifici a Delfi. Ha regnato come sovrano di Lidia per ventotto anni, ma lo ricordiamo ancora soltanto come un ingranaggio in un’insolita storia d’amore. Lei smise di leggere e alzò lo sguardo, uscì dalle sabbie mobili. Stava evolvendosi, così il potere passava di mano. E intanto, con l’aiuto di un aneddoto, io mi innamoravo. Le parole hanno potere.

Michael Ondaatje è nato a Colombo Ceylon (oggi Sri Lanka) nel 1947, da una famiglia di origini olandesi. Dopo gli studi in Inghilterra si è trasferito in Canada, a Toronto, dove insegnava alla York University.  Ha scritto numerosi romanzi editi da Garzanti. E’ anche autore di diverse raccolte poetiche. Dal Paziente Inglese , nel 1997 è stato tratto il film di Anthony Minghella, che ha vinto nove premi Oscar e due Golden Globe.

“Samuel Coleridge definì William Shakespeare “An androgynous mind”, una mente androgina. In effetti, nessuno come lui ha saputo parlare d’amore accogliendo in sé il maschile e il femminile, la passione carnale e la sublimazione, la vita e la morte.  Qual è la natura dell’amore? Qual è il confine tra amore e amicizia? In che cosa differiscono l’amore passionale e quello ideale? Quando possiamo parlare di affinità elettive? Shakespeare nei suoi sonetti indaga tutti i possibili aspetti dell’amore. E l’amore stesso diviene così lo strumento d’eccellenza per conoscere se stessi, l’altro, il mondo, la poesia, la bellezza e la caducità. Il poeta è testimone instancabile di un mondo che non c’è più, una realtà costruita con dedizione, fede, potenza espressiva, serietà, competenza e valori indiscutibili. Nella stanza dell’immaginario del grande poeta ci si può anche smarrire”.

(da Globe Theatre Villa Borghese)

Sonnet 128

“How oft when thou, my music, music play’st

Upon that blessèd wood whose motion sounds

With thy sweet fingers, when thou gently sway’st

The wiry concord that mine ear confounds,

Do I envy’ those jacks that nimble leap

To kiss the tender inward of thy hand,

Whilst my poor lips, which should that harvest reap,

At the wood’s boldness by thee blushing stand.

To be so tickled they would change their state

And situation with those dancing chips,

O’er whom thy fingers walk with gentle gait,

Making dead wood more blest than living lips.

  Since saucy jacks so happy are in this,

  Give them thy fingers, me thy lips to kiss.”

Grazioso ed erotico quadretto d’epoca. Il poeta è in piedi accanto alla donna che suona il virginale, invidia i tasti o i salterelli dello strumento che, mossi dalle dita della donna, vanno a toccarle l’incavo della mano, e vorrebbe scambiare il suo posto con quelli. Dietro questo quadro c’è un motivo ricorrente della lirica amorosa, il motivo per cui l’amante desidera trasformarsi in un oggetto che si trova in intimo contatto con la sua donna.

Alessandro Serpieri

Sonnet 129

“Th’ expense of spirit in a waste of shame

Is lust in action; and till action, lust

Is perjured, murd’rous, bloody, full of blame,

Savage, extreme, rude, cruel, not to trust;

Enjoyed no sooner but despisèd straight;

Past reason hunted; and, no sooner had,

Past reason hated as a swallowed bait,

On purpose laid to make the taker mad;

Mad in pursuit and in possession so;

Had, having, and in quest to have, extreme;

A bliss in proof and proved, a very woe;

Before, a joy proposed; behind, a dream.

All this the world well knows; yet none knows well

To shun the heaven that leads men to this hell.

Il delicato, scherzoso erotismo del sonetto 128 viene qui completamente capovolto in una straordinaria indagine e requisitoria sulla vergogna della lussuria come bestia che cerca la sua preda, dissennatamente, e poi risente il contraccolpo dello spreco e della colpa. Questo sonetto può riservare ad ogni lettura nuove sorprese, perché la sua ricchezza non sta tanto negli sviluppi argomentativi e concettuali, quanto nell’estrema compressione dei suoi livelli di significato. Ogni lettore vi traccerà, pertanto, il suo percorso.

Alessandro Serpieri

Sonetto 73

“Quel tempo dell’anno tu puoi in me vedere,

Quando gialle foglie, o nessuna, o poche, pendono 

Da quei rami tremanti contro il freddo, nudi cori in rovina, 

Dove dolci poc’anzi cantavano gli uccelli. 

In me tu vedi il crepuscolo di un giorno, 

Quale dopo il tramonto impallidisce a occidente, 

E ben presto lo porta via la nera notte, 

Secondo volto della morte che tutto sigilla nel riposo. 

In me tu vedi il baluginare di un fuoco, 

Che sulle ceneri di sua giovinezza giace 

Come sul letto di morte su cui dovrà spirare, 

Consunto da ciò di cui si era nutrito. 

Questo tu percepisci, che fa il tuo amor più forte, 

Così da amare appieno chi dovrai presto lasciare.”  

Sonetto 23

“Come un imperfetto attore sulla scena

Che per paura si discosta dalla parte,

O come un essere feroce colmo d’eccessiva furia,

Cui l’eccesso di vigore indebolisce il cuore;

Così io, per paura e per sfiducia, dimentico di dire l

Aperfetta cerimonia del rituale dell’amore,

Enella forza stessa del mio amore mi sento sfinire,

Sopraffatto dal fardello dello stesso suo potere.

Oh, siano i miei fogli, allora, l’eloquenza

E gli àuguri muti del mio parlante petto,

Che chiedono amore e attendono una ricompensa

Maggiore che per quella lingua che più e di più ha espresso.

Oh, impara a leggere ciò che il silenzioso amore ha scritto

Udir con gli occhi s’addice al fine ingegno dell’amore.”  

Sonetto 116

“Non sarà che al matrimonio di animi costanti

Io ponga impedimenti: non è amore quell’amore

Che muta quando scopre mutamenti

O tende a ritirarsi se l’altro si ritira.

Oh no!  E’ un faro sempre fisso

Che guarda alle tempeste e mai ne è scosso;

E’ la stella polare per ogni nave errante,

Ignota nel valore, anche se l’altezza ne sia presa.

L’amore non è lo zimbello del  Tempo,  anche se rosee labbra

E guance cadono nel compasso della sua falce ricurva;

L’amore non muta  con le sue brevi ore e settimane,

Ma resiste  fino all’orlo del Giudizio:

Se questo è errore e mi sia provato,

Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

   W. Shakespeare

Posso scrivere i versi più tristi stanotte

Pablo Neruda

Pablo Neruda, pseudonimo di Neftalì Ricardo Reyes Basoalto era nato nell’estremo sud del Cile.  Il fascino della “frontiera” domina tutta la sua  poesia. Scrive nelle sue memorie che da quel fango, da quel silenzio egli iniziò il suo cammino e il suo canto. Dall’ambiente ostile, sferzato da una pioggia insistente, reso insicuro dai continui terremoti e dagli incendi, dominato da un misterioso scenario verde di piante e percorso da fiumi impetuosi, prende vita la sua poesia.  E poi ancora il ricordo:  il padre, la madre, matrigna, insieme ai primi amori e all’incontro con la solidarietà, con l’amicizia, che da un umile dono d’un giocattolo rotto, fattogli da un ignoto fanciullo, sarà destinato a colorare tutta la vita del poeta. Scrive: “Io sono stato fortunato. Conoscere la fraternità dei nostri fratelli è una meravigliosa azione di vita. Conoscere l’amore di quelli che amiamo è il fuoco che alimenta la vita. Ma sentire l’affetto di quelli che non conosciamo, degli sconosciuti che stanno vegliando il nostro sonno e la nostra solitudine, i nostri pericoli o i nostri scoraggiamenti, è una sensazione ancora più grande e più bella perché estende il nostro essere e comprende tutte le vite.”

Giuseppe Bellini

“Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Scrivere, ad esempio : La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri in lontananza.
Il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l’amai , e a volte anche lei mi amò .
Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi amò, a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l’ho. Sentire che l’ho perduta.
Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
E il verso cade sull’anima come sull’erba in rugiada.
Che importa che il mio amore non potesse conservarla.
La notte è stellata e lei non è con me.
E’ tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza.
La mia anima non si rassegna ad averla perduta.
Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca.

Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.
La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.
Noi quelli di allora, più non siamo gli stessi.
Più non l’amo, è certo, ma quanto l’amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.
D’altro. Sarà d’altro. Come prima dei suoi baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro . I suoi occhi infiniti.
Più non l’amo, è certo, ma forse l’amo .
E’ così breve l’amore, ed è sì lungo l’oblio.
Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia,
la mia anima non si rassegna ad averla perduta.
Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.”

Pablo Neruda

 

da Il Postino – Metafore

Roberto Vecchioni da La vita che si ama – storie di felicità

LE ROSE BLU

Vedi,
darti la vita in cambio
sarebbe troppo facile,
tanto la vita è tua
e quando ti gira
la puoi riprendere;
io,
posso darti chi sono,
sono stato o chi sarò,
per quello che sai,
e quello che io so.

Io ti darò
tutto quello che ho sognato,
tutto quello che ho cantato,
tutto quello che ho perduto,
tutto quello che ho vissuto,
tutto quello che vivrò,
e ti darò
ogni alba, ogni tramonto
il suo viso in quel momento
il silenzio della sera
e mio padre che tornava
io ti darò.

Io ti darò
il mio primo giorno a scuola
l’aquilone che volava
il suo bacio che iniziava
il suo bacio che moriva
io ti darò,
e ancora sai,
le vigilie di natale
quando bigi e ti va male,
le risate degli amici,
gli anni, quelli più felici
io ti darò.

Io ti darò
tutti i giorni che ho alzato
i pugni al cielo
e ti ho pregato, signore,
bestemmiandoti perché non ti vedevo,
e ti darò
la dolcezza infinita di mia madre,
di mia madre finita al volo
nel silenzio di un passero che cade,
e ti darò la gioia delle notti
passate con il cuore in gola,
quando riuscivo finalmente
a far ridere e piangere una parola…

Vedi,
darti solo la vita
sarebbe troppo facile
perché la vita è niente
senza quello che hai da vivere;
e allora,
fa ‘che non l’abbia vissuta
neanche un po’,
per quello che tu sai,
e quello che io so.

Fa’ che io sia un vigliacco e un assassino,
un anonimo cretino,
una pianta, un verme, un fiato
dentro un flauto che è sfiatato
e così sarò,
così sarò,
non avrò mai visto il mare
non avrò fatto l’amore,
scritto niente sui miei fogli,
visto nascere i miei figli
che non avrò.

Dimenticherò
quante volte ho creduto
e ho amato, sai,
come se non avessi amato mai,
mi perderò
in una notte d’estate
che non ci sono più stelle,
in una notte di pioggia sottile
che non potrà bagnare la mia pelle,
e non saprò sentire la bellezza
che ti mette nel cuore la poesia
perché questa vita adesso, quella vita
non è più la mia.

Ma tu dammi in cambio le sue rose blu
fagliele rifiorire le sue rose blu
tu ridagli indietro
le sue rose blu.

Vincent di  Roberto Vecchioni

Guarderò le stelle
Com’erano la notte ad Arles
Appese sopra il tuo boulevard
Io sono dentro agli occhi tuoi, Vincent
Sognerò i tuoi fiori
Narcisi sparpagliati al vento
Il giallo immenso e lo scontento
Negli occhi che non ridono, negli occhi tuoi, Vincent
Dolce amico mio
Fragile compagno mio
Al lume spento della tua pazzia
Te ne sei andato via
Piegando il collo come il gambo un fiore
Scommetto un girasole
Sparpagliato grano
Pulviscolo spezzato a luce
E bocche aperte senza voce
Nei vecchi dallo sguardo che non c’è
Poi le nostre sedie
Le nostre sedie così vuote
Così persone, così abbandonate
E il tuo tabacco sparso qua e là
Dolce amico
Fragile compagno mio
Che hai tentato sotto le tue dita
Di fermarla, la vita
Come una donna amata alla follia
La vita andava via
E più la rincorrevi
E più la dipingevi
A colpi rossi per tenerla stretta
Gialli come dire “aspetta!”
Fino a che i colori non bastaron più
E avrei voluto dirti, Vincent
Questo mondo non si meritava
Un uomo bello come te
Guarderò le stelle
La tua, la mia metà del mondo
Che sono le due scelte, in fondo
O andare via o rimanere via
Dolce amico mio
Fragile compagno mio
Io in questo mare non mi perdo mai
Ma in ogni mare, sai
“Tous le bateaux vont à l’hazard pour rien”
Addio, da Paul Gauguin

hosognatodivivere  Pubblicato il 12 gen 2008
Elena Ronza
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